sabato 4 aprile 2015

De La Biblioteca di Babele e del Senso della Scrittura


La Biblioteca di Babele e` un racconto di Jorge Luis Borges del 1941. Descrive un universo fantastico consistente in una sola, infinita (o quasi) biblioteca, cosi` composta:
“L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, orlati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venti ripiani, cinque per ciascuna parete, coprono tutti i lati tranne due; l’altezza degli scaffali, da cinque ripiani ciascuno, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella d’una normale libreriaCiascuno dei lati liberi dà su un angusto corridoio che porta a un’altra galleria, identica alla prima e a tutte. A destra e a sinistra del corridoio vi sono due gabinetti minuscoli. Uno permette di dormire in piedi; l’altro di soddisfare le necessità fecali. Di qui passa la scala spirale, che s’inabissa e s’innalza nel remoto. Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze.”
Al di la` della affascinante architettura, che fu di ispirazione per Umberto Eco nel Il Nome della Rosa, quello che affascina ancora di piu` e` la composizione dei testi presenti nella Biblioteca. Ogni libro, di formato uniforme, e` composto da 410 pagine, ciascuna pagina di ottanta righe, ciascuna riga di quaranta lettere. Come descritto nel testo, i possibili caratteri sono venticinque, ovvero ventidue lettere, lo spazio, la virgola e il punto. Ogni libro presente quindi nella biblioteca non e` nient'altro che una combinazione di 1.312.000 caratteri. Ipotizzando, come si immagina nel racconto, che i libri non si ripetano, ci sono

57.226.988.381.574.300.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000

libri nella biblioteca. Riuscendo (come Super Vicki) a leggere un libro al secondo, non basterebbero i quasi quattordici miliardi di anni di vita dell'Universo per leggerli tutti.
E` un numero enorme.
Ma non infinito.
Nel racconto, lo sconosciuto protagonista ipotizza che fra tutti i libri composti da sequenze senza senso di caratteri, ci sia
"Tutto: la storia minuziosa dell'avvenire, le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fedele della Biblioteca, migliaia e migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la dimostrazione del catalogo falso, l'evangelo gnostico di Basilide, il commento di questo evangelo, il commento del commento di questo evangelo, il resoconto veridico della tua morte, la traduzione di ogni libro in tutte le lingue, le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri."
Tutto.
Anche questo post su questo blog.
La storia della vostra vita.
Tutte le vostre possibili vite.
La vera storia dell'omicidio del Presidente Kennedy.
Cosa sarebbe successo se Kennedy fosse sopravvissuto.
Le leggi che governano questo Universo.
Le confutazioni alle suddette leggi.
Ogni libro pubblicato e ogni libro ancora da pubblicare, con tutte le loro possibili varianti e finali.
Ogni cosa.
Qualsiasi cosa possiate immaginare, sappiate che non ve la siete inventata.
E` li.
Da qualche parte.
E se la Teoria delle Stringe e del Multiverso fosse vera e non semplice speculazione scientifica (e qui faccio un volo pindarico con piroetta), allora tutte queste storie non sarebbero solo "storie", ma descrizioni vere e proprie di realta` esistenti, da qualche parte.
E allora che senso ha scrivere?
Se qualsiasi cosa io possa mettere su carta, e` stato gia` scritto, o potrebbe essere scritto in un futuro, o addirittura esiste, da qualche parte, cosa sto facendo realmente, scrivendo?
Sto facendo qualcosa di molto piu` importante di scrivere un racconto.
Sto vagando per la Biblioteca di Babele, sto scegliendo un libro qualsiasi e sto trovando, in tutto quel rumore fatto di sequenze di caratteri, un racconto, un tesoro raro in quel numero indescrivibile di pagine inutili.
E quel racconto mi parla di persone, di luoghi e di eventi che sono accaduti, che stanno accadendo o che accadranno, da qualche parte.
Ed ecco allora che scrivere assume tutto altro spessore.
Perche` nel rispetto di quel tesoro, delle persone coinvolte nella sua storia e del lettore, lo scrittore deve metterci l'anima, il sangue e tutta la dedizione possibile.
Altrimenti scrivera` solo l'ennesima sequenza di 1.312.000 caratteri.

lunedì 19 gennaio 2015

Dei Miei Progetti

Per quanto scrivere racconti brevi possa risultare gratificante, nel loro piccolo, non sono ovviamente quello che vorrei fare nella vita.
Le mie 24 ore, tolte quelle di sonno (magari fossero otto), sono incentrate nel lavoro, che tra uscire di casa e tornare se ne porta via circa undici, facciamo dodici, se contiamo il tempo dalla sveglia all'uscita di casa (si, sono un tipo comodino, mi piace svegliarmi e prepararmi con calma). Aggiungiamo il tempo che se ne va per cenare e pulire, alla fine dei conti della serva mi rimane qualche ora, la sera dopo cena, da dedicare ai miei obiettivi, se ovviamente non sono stanco e se non sono svogliato. Il blog, come detto in passato, nasce come "medicinale" per combattere questa svogliatezza, e concentrare la mia attenzione, poco alla volta, su cio` che vorrei fare realmente.
Ma cosa voglio fare realmente?
Nel tempo i miei progetti si sono alternati spesso, ho iniziato e mai finito talmente tante cose che alcune sono andate nel dimenticatoio. A testimonianza ho una serie di agende riempite a meta` con appunti vari (attualmente ne conto tre o quattro, ma potrebbero essere di piu`). Ogni agenda era un nuovo inizio, ogni agenda non finita un fallimento.
In parte questo e` stato anche un bene. Lessi una volta un articolo di uno scrittore che dava consigli a chi voleva intraprendere questa carriera, e il primo consiglio era:
non scrivere.
Non scrivere, non scrivere subito, non innamorarsi subito della idea appena venuta in mente.
Se lo si fa, se ci si butta a capofitto appena la lampadina si accende, si rischia di finire in un cul-de-sac, in un progetto che non ha sbocchi, non perche` non puo` portare a nulla, ma perche` e` qualcosa che in realta` non vogliamo realmente fare, che non sappiamo dove portare, come concludere, e finiremo per odiarlo e farlo con leggerezza e superficialita`, solo per levarcelo dalle mani.
Se invece si aspetta, senza nemmeno prendere appunti, e quella idea rimane in testa, cresce e scava come un tarlo, si diffonde come un virus tra i nostri pensieri, allora e` una idea buona. Non buona nel senso che avra` sicuramente successo, ma buona per noi, e` una idea a cui potremo dedicare tutte la nostra dedizione, tutte le cure ed attenzioni che servono, senza stancarcene.
Io ho un tarlo di questo tipo da quando ho 16 anni.
Nacque questa piccola idea, questa storia che volevo raccontare, una storia che al tempo non trovavo da nessuna parte, e dopo 12 anni ancora non la trovo.
Il tarlo con il tempo e` cresciuto, e` diventato piu` maturo e consapevole di se, ma non e` arrivato ancora il momento di liberarlo.
Perche` anche se il tarlo e` pronto, io non lo sono.
Non ho ancora i mezzi, non ho ancora dimestichezza con lo strumento della scrittura, non conosco tutte le insidie che si nascondono nelle descrizioni, nei dialoghi, nelle scene d`azione, nelle ambientazioni. So le regole, ma non so applicarle e farle mie.
E` come saper giocare a scacchi. Un conto e` sapere che il Cavallo si muove ad L, che il Pedone una volta arrivato in fondo puo` diventare Regina, come si fa l`arrocco lungo e quello corto.
Un conto e` saper vincere.
E poi devo finire di prepararmi.
Non si puo` scrivere un libro (oddio l`ho detto!) senza aver prima studiato tutto sugli elementi che lo compongono, senza aver preso confidenza con i soggetti e con l`ambientazione.
Oddio, e` vero che esistono libri di autrici fantasy italiane che scrivono senza la minima cura e rispetto del lettore.
Solo un esempio.
Donne e bambini che, senza preavviso alcuno, si armano di archi e frecce e respingono un esercito, senza che
- sia mai stato spiegato PERCHE` ogni famiglia ha arco e frecce a casa
- senza spiegare PERCHE` tutti sanno come maneggiare archi e frecce
- senza spiegare PERCHE` tutti hanno la forza per utilizzare un'arma simile
e potrei andare avanti per ore su questo discorso, con mille altri esempi.
Ma intanto lei vende migliaia di copie.
E io sono qui che mi faccio scrupoli.
Preferisco cosi` (e poi meglio non intavolarlo questo discorso che mi ci avveleno).

Tutto questo e` solo uno dei miei progetti.
Nel mentre, otre a studiare per l'universita` (ma ho deciso che non diventera` mai un'ansia, gia` c'e` il lavoro che ci riesce; me la prendo con calma, e` solo un traguardo personale, non e` quello che voglio fare nella vita, e non e` cio` che mi fa sentire realizzato), sto realizzando un gioco da tavola.
Il gioco e` ambientato nella Venezia del 1455, guidata dal Doge Francesco Foscari. Questi non gode di simpatie tra le famiglie Patrizie (i giocatori) che cercheranno di accaparrarsi quanta piu` influenza possibile per sostituirlo al potere.
Se sono troppi dettagli per un gioco da tavolo, e` perche` ho questa cura dei particolari. Forse e` troppo, ma mi piace che quanto faccio sia piu` attinente possibile alla realta`.
Il gioco poi non e` cosi` complicato, ho gia` realizzato una prima versione, ma devo trovare il tempo per snellire le regole e alleggerirlo di elementi, per una maggiore e piu` rapida fruizione.

Rimane poi un ultimo progetto, supersegreto e molto complesso, che nacque circa sei o sette anni fa con un mio amico di Milano, che rivoluzionerebbe il concetto di gioco di ruolo come lo conosciamo.
Ok, sono paroloni, paroloni nerd tra l'altro, ma e` veramente un bel progetto, messo da parte per ovvi motivi, che intendo riprendere, in un futuro.

Penso di aver detto tutto, nelle prossime settimane utilizzero` il blog per esercizi di stile e altri racconti brevi, cosi` da prendere confidenza con "l'arte della scrittura", prima del fatidico passo.

P.s.: per chi fosse interessato, per documentarmi riguardo il mio libro, attualmente sto leggendo la Storia del Giappone, e "Storia delle Terre dei Luoghi Leggendari" di Umberto Eco. Figo, eh? ;-)

domenica 18 gennaio 2015

Delle mie Trenta Righe (o Del mio Secondo Racconto Breve)

Prima, una doverosa precisazione. Il seguente racconto breve è stato scritto per un concorso dal nome "30 righe", dove bisognava appunto presentare trenta righe su qualsiasi argomento. Tale concorso mi è stato presentato dalla mia compagna di vita Chiara, che non ringrazierò mai abbastanza per supportarmi e sopratutto sopportarmi. Te ne devo tante. Ora, prima il racconto, poi qualche riflessione.

Ansia

Ansia. La vita è fatta per metà da ansia da prestazione. L’altra metà sono le maschere che portiamo per non deludere le aspettative. Abbiamo l’ansia di dover piacere al prossimo, di soddisfare il capo, di risultare interessante alla ragazza dal vestito rosso sola al bancone del pub, cercando di instaurare una conversazione brillante, leggera, mai noiosa, senza investirla di parole ma senza rimanere solo ad ascoltarla. Cosa ci è successo? Da quando abbiamo ridotto la nostra autostima al giudizio altrui? No, la verità è un’altra: noi coviamo rabbia, frustrazione, arriviamo ad odiare le persone, perché non ci permettono di essere noi stessi, ci costringono ad interpretare un ruolo desiderato. Dobbiamo essere buoni ma vorremmo essere cattivi. Idolatriamo antieroi perché invidiamo la loro capacità di essere liberi, di prendersi con la forza quello che desiderano, fregandosene di tutto. Vorremmo mandare a quel paese il prossimo, picchiare il capo, sedurre la ragazza dal vestito rosso senza esitazione. Vogliamo essere come loro ma non capiamo che quella libertà è solo un’altra maschera. Dietro c’è solo un malessere, un bisogno. C’è l’ansia di morire senza aver vissuto, di passare inesistenti nelle vite altrui, e cercano costantemente qualcosa in più: emozioni, potere, controllo. Allora cosa rimane? Se tutti vogliono essere qualcun altro, chi vive veramente la propria vita? Nessuno. Io? A volte. A volte mi lascio andare alla vera natura umana. Passioni, paure, rabbia. Sono la nostra reale identità, ma le teniamo al guinzaglio, altrimenti verremmo giudicati delle bestie da quelle stesse persone che vorrebbero essere libere, ma che ci costringono a portare maschere. Solo ora che la ragazza dal vestito rosso è nel mio appartamento, posso togliere la mia maschera ed essere me stesso. Solo ora, nel mio salotto, mentre etichetta quel killer che si aggira per Roma come un mostro, la vedo per l’inetta che è. Mentre la vedo soffocare, le mie mani che le stringono la gola, la vedo come l’ennesima persona che mi ha reso, che ci ha reso, così ansiosi.

Anche qui, come nel racconto precedente, c'è una svolta, un cambio di prospettiva, da generale a personale in questo caso. L'intenzione (magari non riuscita, per carità) era trasmettere disagio nel lettore. Se prima può essere d'accordo con quanto legge, poi leggere che chi parla è un killer che estremizza il significato di libertà dovrebbe destabilizzarlo e farlo riflettere.
Ora, non è che tutto quello che si legga debba necessariamente far riflettere, è giusto leggere anche per semplice diletto. Ma sono convinto che un testo che non ti comunica qualcosa, qualsiasi cosa, non necessariamente una morale ma anche solo un emozione o un punto di vista diverso, non rimane nella testa o nel cuore del lettore. Uno dei più bei fantasy che ho letto mi è piaciuto (e rimasto impresso) sopratutto per la cura dei dettagli inseriti nella ambientazione, e per la tecnica narrativa utilizzata.
Insomma, attendo i vostri commenti in merito, e sopratutto, consigliatemi qualche lettura che vi è rimasta nel cuore, e per quale motivo.
Alla prossima!

sabato 10 gennaio 2015

Del mio primo Racconto Breve

(Come previsto mi è difficile scrivere un post al giorno, anche solo di getto la sera. Pazienza, lo immaginavo, farò il possibile nel tempo a disposizione. Oggi è pure facile, devo solo copia-incollare un brano.)

Quello che segue è il mio primo racconto breve. Lo presentai ad un concorso due anni fa, diecimila caratteri "fantasy". Il concorso ovviamente non lo vinsi. Poco importa, non ho mai pensato di vincerlo, quello che mi premeva era avere una scadenza, una data entro il quale finire un lavoro. Questo perché finché si scrive per se stessi, c'è sempre tempo, e il pensiero di "avere tempo" porta solo a perderlo, il tempo. Invece, avere un termine ti obbliga a ragionare in maniera diversa, ad organizzare il lavoro, e ad impegnarti. Feci le ore piccole, per consegnare il racconto in tempo.
E mi divertii nel farlo.
Fui orgoglioso non tanto del racconto, sicuramente è migliorabile, ma la sensazione di aver creato qualcosa, mi riempii il cuore di gioia.
Per quanto il racconto non sia il massimo, ci sono gli elementi di cui ho parlato nel post precedente, quindi spero possiate divertivi nel leggerlo.
Attendo ovviamente i vostri commenti, e sopratutto le critiche, in merito.
Buona lettura.
(Il titolo è orribile, lo so)

Soldi e Sangue
- Serrate i ranghi, siamo quasi giunti alla meta! - ordinò Ser Wuldwing alla marmaglia alle sue spalle. Il chiacchiericcio scemò, i contadini formarono un gruppo più unito e si avvicinarono al cavaliere, al suo cavallo, e al minatore. “Che branco di debosciati,” pensò Ser Wuldwing, “disperati sacchi di carne. Ma meglio loro che me.” Non erano così diversi da “Ser” Wuldwing, che non era certo un “Sir”, ma il titolo aiutava a trovare lavoro, e poi il cavallo e l’armatura facevano il resto.
Il sentiero continuava a destreggiarsi, tra il bosco che risaliva il monte, costeggiando il ruscello a sinistra.
- Racconta cosa è accaduto. - disse Wulding al minatore. Cercò di non tradire nervosismo, di usare un tono duro, ma la voce risultò stridula.
- Devo proprio, mio signore? - chiese. Volgeva lo sguardo altrove, senza particolare attenzione, ma solo per evitare i suoi gelidi occhi.
- Ovvio che devi, idiota, dobbiamo essere pronti! - rispose, colpendolo alla testa con il guanto ferrato.
Il ragazzo si massaggiò la testa e deglutì. - Eravamo nel tunnel a est, quello lungo. Volevamo trovare dove scavare, a questo non eravamo arrivati proprio in fondo. Abbiamo preso le torce e siamo andati più giù di dove scavavamo. Dopo un bel po’ che camminavamo, la grotta era tanto stretta, piena di sassi grandi. - Fece una pausa. Il gruppo era muto, camminavano a passo lento, come a voler ritardare l’arrivo alla miniera, e il racconto del ragazzo. Persino la foresta era in ascolto, l’unico suono era lo scorrere del ruscello, ingigantito nel silenzio da sembrare un fiume in piena. Il ragazzo guardava avanti, ma lo sguardo era perso. Non era con loro, ma nella miniera, ad una settimana prima, quando quell’inferno al buio iniziò.
- Allora? - strillò Wuldwing al giovane. Il ragazzo alzò finalmente lo sguardo sul cavaliere, cominciò a mordersi le unghie. - L-l-l-la prego, m-m-m-mio signore, io n-n-n... -
- Tu non cosa? Cosa? Vuoi mandarci al massacro? - Il ragazzo rimase muto, sulla mano cominciò a scorrere sangue. Il guerriero cercò di colpirlo nuovamente, ma uno dei contadini lo anticipò, alto e largo quanto il cavallo. Si avvicinò al giovane e poggiò una mano, grossa quanto la testa del minatore, sulla spalla. - Sta calmo. Non entrerai li. Ma devi raccontarci quello che ricordi. - Il giovane tolse le mani dalla bocca, e lentamente annuì. Si avvicinò al gruppo e riprese.
- Sentivamo una voce venire dal giù. Pensavamo che era il vento che suonava tra i sassi, ma però poi quel vento è diventato una voce. Poi la voce ha cominciato a cantare. Un canto triste. Abbiamo camminato, io volevo vedere chi cantava, volevo gridare “ehi, c’è qualcuno?”, ma a me mi pareva brutto disturbare, allora ho camminato. Neanche guardavamo dove andavamo, magari mi sono pure tagliato ma non me ne accorgevo mica io, quel canto solo volevo sentire. -
A tutti loro sembrava di sentirlo, quel canto. Erano tutti con la mente nella grotta, mettendo un passo davanti l’altro senza pensare alla strada. Ma se il giovane era tornato a quella malia, il mercenario dietro l’armatura pensava al suo destino, a come affrontare qualsiasi cosa si celasse dentro la miniera. “Forse faccio in tempo a tornare indietro, a scappare, mi tengo i soldi e li lascio sbranare da chissà che diavolo.” No, rifletté, oramai era troppo tardi, mostrarsi codardo avrebbe solo reso quegli uomini più determinati. Per lui era solo un lavoro, ma per loro si trattava delle vite delle loro famiglie. Sarebbero morti, la voce si sarebbe sparsa e per lui non ci sarebbe stato più alcun lavoro.
Il cavaliere tornò al racconto del ragazzo. - Senza che me ne accorgevo, ero al buio. Le torce si erano spente, ma mi sembrava di camminare al buio da sempre. Poi all’improvviso, il canto aveva smesso. Sembrava come quando ti svegli da un sogno, ero dentro la grotta, ma mica ricordavo come ci ero finito. Poi sono cominciate le urla, tanto forti che mi sono tappato le orecchie. Poi però anche i miei compagni urlavano. Prima il mio pa’, davanti a me, sentivo che urlava e che lo sbattevano sul muro, poi gli altri dietro di me. Sentivo le urla che non capivo che succedeva, poi quelle dei miei amici, poi il colpo contro i sassi. Io mi abbassavo, e sono scappato dietro, pensavo “è li che si esce”, ma un urlo di femmina, da brividi, mi ha strillato in un orecchio, e un artiglio mi ha graffiato. - Il ragazzo si slacciò il gilet di pelle, abbassò la manica e scostò le bende. Tre solchi larghi un pollice, percorrevano la spalla da sopra la scapola, fino alla clavicola. La pelle era scavata, parte della carne sembrava non ci fosse mai stata. Wuldwing e gli altri non commentarono, si limitarono a trattenere il respiro.
Il giovane minatore ricoprì le ferite e riprese. - Non lo so come ho fatto a scappare, ricordo che cadevo sui sassi, mi riempivo di lividi, ma le urla erano sempre più lontane. La prima cosa che ricordo è il sole fuori dalla miniera. -
Finito il racconto, Wuldwing si accorse che erano proprio li fuori, ma non sapeva da quando. Il gruppo si era stretto attorno al giovane, nello spiazzo fuori l’ingresso.
- Forza, preparate le torce. - Fu la sola cosa che riuscì a dire. Scese da cavallo, e cercò di slacciare l’elsa dalla sella. I lacci gli scappavano tra le dita, i guanti d’arme lo rendevano goffo. “No, è l’agitazione. Stiamo andando a morire e lo sappiamo.” Non si accorse del contadino fino a quando non gli prese le mani tra le sue. Lo scostò piano e gli slacciò l’elsa. - La tua spada, mio signore. - disse, spostandosi dal cavallo. Wuldwing era ancora distratto, perso nei pensieri, ma poi lo riconobbe: era l’uomo che aveva confortato il ragazzo. - Grazie. - Iniziò a stringersi i lacci dell’armatura, fissò l’elsa alla cintola, quando si rese conto che il contadino era al suo fianco, a fissarlo. “Ma che vuoi?” - Come posso esserti d’aiuto? - Il contadino continuò a fissarlo, dall’alto in basso. - Gli uomini hanno bisogno di un discorso di incoraggiamento, mio signore. - Wuldwing si voltò verso di loro. Alcuni fissavano l’ingresso della miniera, credendo di poter già sentire le urla. Altri erano seduti a terra, accarezzavano le proprie armi. Wuldwing li osservò, e notò la rassegnazione nei loro sguardi vuoti. - A noi non serve un discorso, serve un fottuto miracolo. - Si avvicinò all’ingresso, strappò dalle mani di un contadino la torcia, poi senza voltarsi entrò nella miniera.
La grotta era alta, umida, e sembrava abbandonata da poche ore. Picconi e carriole erano sparse a terra, ma dei loro proprietari non c’era traccia. Seguirono la parete di destra, e trovarono dopo poco il percorso ad est.
Per i primi cento metri il passaggio fu alto, largo e pulito, formarono così due file, con il cavaliere in testa. Man mano che avanzavano, l’aria si faceva più umida, pesante, chi poteva teneva il braccio davanti alla bocca e al naso, la puzza di muffa e marcio era irrespirabile. Le pareti si stringevano, il fondo si riempiva di massi sempre più grandi, e il gruppo fu costretto a raccogliersi, poi a disporsi in fila. Più volte Wuldwing rischiò di cadere, così bardato. Per quanto camminassero piano, i loro passi echeggiavano, moltiplicando il numero degli sventurati. Presto i loro abiti furono zuppi, pesanti, rallentandoli.
Persero la cognizione del tempo, avanzando in quel cunicolo, quando il cavaliere sentì un colpo. Il rumore li paralizzò. Wuldwing tese il braccio con la torcia, sguainò la spada, poi fece un passo avanti. Un altro colpo, qualcosa che rimbalzava ai suoi piedi.
Capì prima di guardare cosa produceva quel suono. Abbassò lo sguardo. Vicino il suo stivale, era spaccato un teschio, scarnificato.
Un urlò gelò loro il sangue. Ali di pipistrello grandi come un uomo calarono dal soffitto, e la creatura si avventò su un giovane al centro. Le persone più vicine rimasero bloccate, mentre la creatura azzannava la gola dello sfortunato. I contadini più indietro scapparono, ma caddero su quelli in fondo. Gli uomini bloccati tra il cavaliere e la creatura urlarono, e il più vicino, l’uomo che aveva aiutato Wuldwing poco prima, caricò il colpo con la mazza. La creatura scostò un’ala, mostrando il volto di una vecchia, rugoso e sbavante, dai capelli arruffati e sporchi. Urlò, ma non bastò a fermarlo, e il contadino la colpì alla testa. La creatura indietreggiò, l’uomo scattò in avanti, caricando un secondo colpo. La vecchia urlò ancora, poi si avventò su di lui, cogliendolo di sorpresa. Con gli artigli in cima alle ali lo afferrò al volto e gli strappo via le orbite. Mentre l’uomo gridava, la creatura si lanciò sul secondo, ma questi riuscì a sollevare l’ascia in tempo, sfreggiandola.
Il cavaliere era pietrificato, osservava quel massacro senza poter fare nulla. Poi le urla diminuirono, come se lo scontro si allontanasse. Dietro di se, proveniva il suono di un canto. Sovrastava quel caos e lo isolava, lo proteggeva. Wuldwing si voltò, e vide una donna, vestita di una mantella in pelle sottile, che arrivava fino a terra. Aveva il volto pallido, in lacrime. Era la donna a cantare, condividendo tutta la tristezza e la disperazione che stava provando. La signora avanzava, mentre il canto lo cullava. Abbassò spada e torcia, e quando fu abbastanza vicina, quasi da poterlo baciare, lei smise di cantare. Ruggì, mostrò le zanne e si avventò sul suo collo.

Kragah sputò il sangue, poi avanzò verso la figlia. Haragat lasciò cadere il cadavere del cavaliere, e si ripulì la bocca. - Sono morti? -
- Sono riuscita a fermarne la metà, qualcuno si sarà spezzato l’osso del collo scappando, ma forse un paio sono fuggiti. - Haragat si chinò sul cadavere del cavaliere, e cominciò a tagliare i lacci. - Non possiamo continuare così. Altri mostri vorranno assaltare il nido, e non riusciremo sempre a sorprenderli. -
- Lo so figlia mia, ma fino a quando non troveremo una soluzione, non possiamo fare molto. -
Haragat si voltò verso la madre. Una mano artigliata andò al proprio ventre, già gonfio da mesi, mentre altre lacrime rigavano il suo viso.

sabato 3 gennaio 2015

Di The Prestige e di Come Vorrei Scrivere le Mie Storie



"The Prestige" nasce dalla penna di Christopher Priest nel 1995, e solo nel 2005, dopo cinque anni di lavoro da parte dei fratelli Nolan, vede la sua trasposizione sul grande schermo.
Io lo vidi in TV.

Non ricordo se lo cercavo, o se lo vidi per caso.
Oddio, non e` uno di quei film che va visto al cinema perché altrimenti perderebbe il suo fascino, non e` pieno di effetti speciali, quindi non persi qualcosa nel vedermelo sul piccolo schermo di casa mia.
Ma fu amore a prima vista, letteralmente.
Senza fare spoiler, il film racconta la storia di due illusionisti (Hugh Jackman e Christian Bale), rivali tanto sul palcoscenico quanto nella vita, dagli inizi fino al termine delle loro carriere. Tramite un sapiente utilizzo dei flashback (e doppi flashback), utilizzando i loro diari come mezzo per raccontare il passato, seguiamo le loro vicissitudini, il modo in cui cercano continuamente di superarsi, ad ogni costo.
E quando dico "ad ogni costo" intendo veramente "ad ogni costo": saranno disposti a tutto, ad ogni possibile sacrificio, pur di ricevere piu` applausi dell'altro.
La caratteristica, che reputo meravigliosa, di questo film, e` che non c'e` un protagonista, ma due antagonisti.
Durante il film, lo spettatore si lega prima ad uno, poi all'altro, poi di nuovo al primo, senza che i personaggi facciano realmente qualcosa per essere reputati "migliori", anzi, il loro gioco, la loro sfida, li porta ad essere sempre piu` sleali, senza morale, fino a superare i propri limiti.
"The Prestige" non e` la classica storia "buono contro cattivo", non c'e` una distinzione netta di "bianco e nero", ma sono diverse, tante tonalita`di grigi che sfumano, continuamente. Sta allo spettatore "scegliere", in base alla propria morale, e non a quella imposta dagli sceneggiatori, come accade in altri film, o altri libri.
E` proprio questa sua caratteristica, di non schierarsi ma semplicemente di raccontare una storia, di non forzare gli eventi ma di lasciare ai personaggi di esprimersi, che adoro e che voglio trasportare nei miei scritti.
Sinceramente sono stufo di storie, di saghe intere, dove buoni e cattivi hanno una etichetta in fronte, ad indicare da che parte stanno.
Sembrano tutti episodi del Tenente Colombo.
La vita reale non e` cosi`. Le persone non fanno quello che fanno "perche` e` cosi`", ma perche` hanno un motivo per farlo, sono spinte dalla propria forza di volonta`, e limitati dalla propria morale. Una persona potrebbe essere disposta a tutto, pur di ottenere il proprio obiettivo, ed e` proprio questo conflitto interiore la parte interessante di un personaggio.
Dire che un ladro ruba ai ricchi per dare ai poveri, potrebbe risultare banale. Un padre di famiglia costretto a rubare per sfamare i propri figli, diventa una storia piu` interessante. Un uomo costretto ad uccidere il proprio capo perché i suoi figli sono tenuti in ostaggio, ancora piu` interessante.
Lo stesso vale per gli antagonisti.
Costa spinge un "cattivo" ad essere cattivo?
Che interesse puo` esserci in un despota che schiavizza il proprio popolo perché e` fatto cosi` e basta?
Molto piu` interessante un dittatore che per imporre la propria` volonta` e` disposto ad usare ogni mezzo, perché crede veramente che le sue scelte siano le migliori per il popolo ignorante.
Un governante che vuole conquistare il mondo non interessa a nessuno, uno che vuole farlo per portare la pace tra i popoli, mettendoli sotto un unico regno, ha più senso.
Con questo non voglio dire che gli archetipi sono sbagliati, o che tutti devono essere "buoni ma incompresi", anzi, gli archetipi sono utili perché lo spettatore/lettore identifica subito un modello, ma deve essere una base, bisogna ampliarlo e motivarlo nelle scelte che fa, caratterizzarlo, e non limitarlo ad una macchietta.
Questo e` quello che voglio fare nei miei scritti.

Altra caratteristica che adoro di The Prestige è il colpo di scena (o Plot Twist, se vogliamo fare gli Americani).
Il film e' ambientato nella Londra dei primi del '900, e per tutta la durata del film viene dato per assodato che le illusioni effettuate dai protagonisti siano appunto "illusioni".
Ma verso la fine del film viene aggiunto uno e un solo elemento "fantastico", ed il film ti obbliga ad avere quella espressione basita, attonita, occhi e bocca spalancati.
E la cosa stupenda e` che tale elemento si incastra cosi` perfettamente nella trama, da non dare fastidio, da non stonare con il resto, da non risultare impossibile o irreale, per quanto irreale lo sia veramente.
Tale coerenza, anche nell'elemento fantastico che viene aggiunto, e` un punto di forza che voglio riproporre.
Quanti film avete visto o libri avete letto, che vi hanno fatto dire "si va beh, questo è proprio impossibile"? Il problema non sta nell'elemento in se, quanto del contesto in cui viene inserito.
Se improvvisamente il protagonista diventa un tiratore scelto, dalla mira infallibile, quando per tutta la storia non e` mai stato indicato niente, neanche il minimo indizio, che possa suggerire o giustificare tale caratteristica, ecco che lo spettatore/lettore alza gli occhi al cielo, sospira e va avanti. Questo distaccamento dal coinvolgimento dalla storia è snervante, e lo sceneggiatore/autore ha fallito.
La bellezza delle storie e` proprio quella di alienarti momentaneamente dalla realta`, e per quanto questa storia possa essere irreale, se e` coerente, e` sufficiente che i presupposti siano chiari e onesti, e la storia sara` (piu` o meno) apprezzata, o perlomeno digerita. Lo spettatore/lettore non si pone alcun dubbio nel vedere un drago all'interno di un racconto fantasy, diverso se improvvisamente appare in un thriller.

Alla fine di questo discorso, quello che conta piu` di tutto e` proprio la coerenza. Coerenza nei personaggi, nelle cose che fanno, nelle scelte che intraprendono e dei motivi che li spingono a fare proprio quelle scelte. Coerenza della storia, degli elementi che la compongono e di come questi smuovono la trama e i personaggi scelti. The Prestige e` un film ricco e complesso, che mi ha innanzi tutto appassionato, e in secondo luogo mi ha trasmetto queste lezioni.

Ve lo consiglio caldamente.

(Oh, e poi c'e` Scarlett Johansson, che non guasta mai.)

martedì 30 dicembre 2014

Del Perche` di Questo Blog

L'ultimo dell'anno, così come il compleanno, é sempre occasione di bilanci.
Considerando che il mio compleanno cade di Luglio, faccio un bilancio della mia vita una volta ogni sei mesi.

Aggiungiamo inoltre che sono nell'ultima parte dei miei 20 anni, ed ecco spiegato (in parte) il motivo di questo Blog.

Se mi guardo indietro, se guardo lungo gli ultimi 10 anni, l'unica cosa che vedo é la procrastinazione.

La procrastinazione è una brutta bestia. Non è la mancanza di idee, non è la mancanza di desiderio, non è semplicemente perdere tempo.
È non trovare la voglia e la forza di fare.

Detta così sembra una scusa, me ne rendo conto. Ma è più complessa di come sembra.

C'è sempre qualcos'altro da fare. Sempre qualcosa di più importante, di più urgente, o di più semplice, e le proprie cose si possono sempre fare un'altra volta.

"Perché mettersi a fare proprio stasera il primo post del blog, quando c'è Forrest Gump in TV? Lo posso fare domani."
"Perché devo mettermi ora a scrivere quel racconto breve, sono esausto dopo questa giornata di lavoro, lo farò nel fine settimana."

La procrastinazione non è la mancanza del desiderio. È lottare contro se stessi. Ed è dura, se protratta per troppo tempo.

Figuratevi per dieci anni.

Perché non te ne rendi conto, nella tua testa è tutto giusto, è tutto lecito.

E ti ritrovi dieci anni dopo nello stesso punto di prima.

Per carità, chi mi conosce sa che non me la passo male, ho un ottimo lavoro, ma il lavoro non fa parte, almeno per me, della soddisfazione personale, della realizzazione.

Io voglio raccontare storie. Voglio far divertire le persone, voglio strapparle un sorriso, o farle riflettere, o semplicemente distrarle da questa vita.

Questo Blog vuole essere una sorta di "medicina per la mente". Un post a sera, scritto di getto, parlare dei miei progetti e delle mie passioni, per riaccendere la voglia di fare e la forza di volontà, per lottare contro la procrastinazione, per rimettermi in moto.

Sostanzialmente è più per me che per voi.

Pazienza.