(Come previsto mi è difficile scrivere un post al giorno, anche solo di getto la sera. Pazienza, lo immaginavo, farò il possibile nel tempo a disposizione. Oggi è pure facile, devo solo copia-incollare un brano.)
Quello che segue è il mio primo racconto breve. Lo presentai ad un concorso due anni fa, diecimila caratteri "fantasy". Il concorso ovviamente non lo vinsi. Poco importa, non ho mai pensato di vincerlo, quello che mi premeva era avere una scadenza, una data entro il quale finire un lavoro. Questo perché finché si scrive per se stessi, c'è sempre tempo, e il pensiero di "avere tempo" porta solo a perderlo, il tempo. Invece, avere un termine ti obbliga a ragionare in maniera diversa, ad organizzare il lavoro, e ad impegnarti. Feci le ore piccole, per consegnare il racconto in tempo.
E mi divertii nel farlo.
Fui orgoglioso non tanto del racconto, sicuramente è migliorabile, ma la sensazione di aver creato qualcosa, mi riempii il cuore di gioia.
Per quanto il racconto non sia il massimo, ci sono gli elementi di cui ho parlato nel post precedente, quindi spero possiate divertivi nel leggerlo.
Attendo ovviamente i vostri commenti, e sopratutto le critiche, in merito.
Buona lettura.
(Il titolo è orribile, lo so)
Soldi e Sangue
- Serrate i ranghi, siamo quasi giunti alla meta! - ordinò Ser Wuldwing alla marmaglia alle sue spalle. Il chiacchiericcio scemò, i contadini formarono un gruppo più unito e si avvicinarono al cavaliere, al suo cavallo, e al minatore. “Che branco di debosciati,” pensò Ser Wuldwing, “disperati sacchi di carne. Ma meglio loro che me.” Non erano così diversi da “Ser” Wuldwing, che non era certo un “Sir”, ma il titolo aiutava a trovare lavoro, e poi il cavallo e l’armatura facevano il resto.
Il sentiero continuava a destreggiarsi, tra il bosco che risaliva il monte, costeggiando il ruscello a sinistra.
- Racconta cosa è accaduto. - disse Wulding al minatore. Cercò di non tradire nervosismo, di usare un tono duro, ma la voce risultò stridula.
- Devo proprio, mio signore? - chiese. Volgeva lo sguardo altrove, senza particolare attenzione, ma solo per evitare i suoi gelidi occhi.
- Ovvio che devi, idiota, dobbiamo essere pronti! - rispose, colpendolo alla testa con il guanto ferrato.
Il ragazzo si massaggiò la testa e deglutì. - Eravamo nel tunnel a est, quello lungo. Volevamo trovare dove scavare, a questo non eravamo arrivati proprio in fondo. Abbiamo preso le torce e siamo andati più giù di dove scavavamo. Dopo un bel po’ che camminavamo, la grotta era tanto stretta, piena di sassi grandi. - Fece una pausa. Il gruppo era muto, camminavano a passo lento, come a voler ritardare l’arrivo alla miniera, e il racconto del ragazzo. Persino la foresta era in ascolto, l’unico suono era lo scorrere del ruscello, ingigantito nel silenzio da sembrare un fiume in piena. Il ragazzo guardava avanti, ma lo sguardo era perso. Non era con loro, ma nella miniera, ad una settimana prima, quando quell’inferno al buio iniziò.
- Allora? - strillò Wuldwing al giovane. Il ragazzo alzò finalmente lo sguardo sul cavaliere, cominciò a mordersi le unghie. - L-l-l-la prego, m-m-m-mio signore, io n-n-n... -
- Tu non cosa? Cosa? Vuoi mandarci al massacro? - Il ragazzo rimase muto, sulla mano cominciò a scorrere sangue. Il guerriero cercò di colpirlo nuovamente, ma uno dei contadini lo anticipò, alto e largo quanto il cavallo. Si avvicinò al giovane e poggiò una mano, grossa quanto la testa del minatore, sulla spalla. - Sta calmo. Non entrerai li. Ma devi raccontarci quello che ricordi. - Il giovane tolse le mani dalla bocca, e lentamente annuì. Si avvicinò al gruppo e riprese.
- Sentivamo una voce venire dal giù. Pensavamo che era il vento che suonava tra i sassi, ma però poi quel vento è diventato una voce. Poi la voce ha cominciato a cantare. Un canto triste. Abbiamo camminato, io volevo vedere chi cantava, volevo gridare “ehi, c’è qualcuno?”, ma a me mi pareva brutto disturbare, allora ho camminato. Neanche guardavamo dove andavamo, magari mi sono pure tagliato ma non me ne accorgevo mica io, quel canto solo volevo sentire. -
A tutti loro sembrava di sentirlo, quel canto. Erano tutti con la mente nella grotta, mettendo un passo davanti l’altro senza pensare alla strada. Ma se il giovane era tornato a quella malia, il mercenario dietro l’armatura pensava al suo destino, a come affrontare qualsiasi cosa si celasse dentro la miniera. “Forse faccio in tempo a tornare indietro, a scappare, mi tengo i soldi e li lascio sbranare da chissà che diavolo.” No, rifletté, oramai era troppo tardi, mostrarsi codardo avrebbe solo reso quegli uomini più determinati. Per lui era solo un lavoro, ma per loro si trattava delle vite delle loro famiglie. Sarebbero morti, la voce si sarebbe sparsa e per lui non ci sarebbe stato più alcun lavoro.
Il cavaliere tornò al racconto del ragazzo. - Senza che me ne accorgevo, ero al buio. Le torce si erano spente, ma mi sembrava di camminare al buio da sempre. Poi all’improvviso, il canto aveva smesso. Sembrava come quando ti svegli da un sogno, ero dentro la grotta, ma mica ricordavo come ci ero finito. Poi sono cominciate le urla, tanto forti che mi sono tappato le orecchie. Poi però anche i miei compagni urlavano. Prima il mio pa’, davanti a me, sentivo che urlava e che lo sbattevano sul muro, poi gli altri dietro di me. Sentivo le urla che non capivo che succedeva, poi quelle dei miei amici, poi il colpo contro i sassi. Io mi abbassavo, e sono scappato dietro, pensavo “è li che si esce”, ma un urlo di femmina, da brividi, mi ha strillato in un orecchio, e un artiglio mi ha graffiato. - Il ragazzo si slacciò il gilet di pelle, abbassò la manica e scostò le bende. Tre solchi larghi un pollice, percorrevano la spalla da sopra la scapola, fino alla clavicola. La pelle era scavata, parte della carne sembrava non ci fosse mai stata. Wuldwing e gli altri non commentarono, si limitarono a trattenere il respiro.
Il giovane minatore ricoprì le ferite e riprese. - Non lo so come ho fatto a scappare, ricordo che cadevo sui sassi, mi riempivo di lividi, ma le urla erano sempre più lontane. La prima cosa che ricordo è il sole fuori dalla miniera. -
Finito il racconto, Wuldwing si accorse che erano proprio li fuori, ma non sapeva da quando. Il gruppo si era stretto attorno al giovane, nello spiazzo fuori l’ingresso.
- Forza, preparate le torce. - Fu la sola cosa che riuscì a dire. Scese da cavallo, e cercò di slacciare l’elsa dalla sella. I lacci gli scappavano tra le dita, i guanti d’arme lo rendevano goffo. “No, è l’agitazione. Stiamo andando a morire e lo sappiamo.” Non si accorse del contadino fino a quando non gli prese le mani tra le sue. Lo scostò piano e gli slacciò l’elsa. - La tua spada, mio signore. - disse, spostandosi dal cavallo. Wuldwing era ancora distratto, perso nei pensieri, ma poi lo riconobbe: era l’uomo che aveva confortato il ragazzo. - Grazie. - Iniziò a stringersi i lacci dell’armatura, fissò l’elsa alla cintola, quando si rese conto che il contadino era al suo fianco, a fissarlo. “Ma che vuoi?” - Come posso esserti d’aiuto? - Il contadino continuò a fissarlo, dall’alto in basso. - Gli uomini hanno bisogno di un discorso di incoraggiamento, mio signore. - Wuldwing si voltò verso di loro. Alcuni fissavano l’ingresso della miniera, credendo di poter già sentire le urla. Altri erano seduti a terra, accarezzavano le proprie armi. Wuldwing li osservò, e notò la rassegnazione nei loro sguardi vuoti. - A noi non serve un discorso, serve un fottuto miracolo. - Si avvicinò all’ingresso, strappò dalle mani di un contadino la torcia, poi senza voltarsi entrò nella miniera.
La grotta era alta, umida, e sembrava abbandonata da poche ore. Picconi e carriole erano sparse a terra, ma dei loro proprietari non c’era traccia. Seguirono la parete di destra, e trovarono dopo poco il percorso ad est.
Per i primi cento metri il passaggio fu alto, largo e pulito, formarono così due file, con il cavaliere in testa. Man mano che avanzavano, l’aria si faceva più umida, pesante, chi poteva teneva il braccio davanti alla bocca e al naso, la puzza di muffa e marcio era irrespirabile. Le pareti si stringevano, il fondo si riempiva di massi sempre più grandi, e il gruppo fu costretto a raccogliersi, poi a disporsi in fila. Più volte Wuldwing rischiò di cadere, così bardato. Per quanto camminassero piano, i loro passi echeggiavano, moltiplicando il numero degli sventurati. Presto i loro abiti furono zuppi, pesanti, rallentandoli.
Persero la cognizione del tempo, avanzando in quel cunicolo, quando il cavaliere sentì un colpo. Il rumore li paralizzò. Wuldwing tese il braccio con la torcia, sguainò la spada, poi fece un passo avanti. Un altro colpo, qualcosa che rimbalzava ai suoi piedi.
Capì prima di guardare cosa produceva quel suono. Abbassò lo sguardo. Vicino il suo stivale, era spaccato un teschio, scarnificato.
Un urlò gelò loro il sangue. Ali di pipistrello grandi come un uomo calarono dal soffitto, e la creatura si avventò su un giovane al centro. Le persone più vicine rimasero bloccate, mentre la creatura azzannava la gola dello sfortunato. I contadini più indietro scapparono, ma caddero su quelli in fondo. Gli uomini bloccati tra il cavaliere e la creatura urlarono, e il più vicino, l’uomo che aveva aiutato Wuldwing poco prima, caricò il colpo con la mazza. La creatura scostò un’ala, mostrando il volto di una vecchia, rugoso e sbavante, dai capelli arruffati e sporchi. Urlò, ma non bastò a fermarlo, e il contadino la colpì alla testa. La creatura indietreggiò, l’uomo scattò in avanti, caricando un secondo colpo. La vecchia urlò ancora, poi si avventò su di lui, cogliendolo di sorpresa. Con gli artigli in cima alle ali lo afferrò al volto e gli strappo via le orbite. Mentre l’uomo gridava, la creatura si lanciò sul secondo, ma questi riuscì a sollevare l’ascia in tempo, sfreggiandola.
Il cavaliere era pietrificato, osservava quel massacro senza poter fare nulla. Poi le urla diminuirono, come se lo scontro si allontanasse. Dietro di se, proveniva il suono di un canto. Sovrastava quel caos e lo isolava, lo proteggeva. Wuldwing si voltò, e vide una donna, vestita di una mantella in pelle sottile, che arrivava fino a terra. Aveva il volto pallido, in lacrime. Era la donna a cantare, condividendo tutta la tristezza e la disperazione che stava provando. La signora avanzava, mentre il canto lo cullava. Abbassò spada e torcia, e quando fu abbastanza vicina, quasi da poterlo baciare, lei smise di cantare. Ruggì, mostrò le zanne e si avventò sul suo collo.
Kragah sputò il sangue, poi avanzò verso la figlia. Haragat lasciò cadere il cadavere del cavaliere, e si ripulì la bocca. - Sono morti? -
- Sono riuscita a fermarne la metà, qualcuno si sarà spezzato l’osso del collo scappando, ma forse un paio sono fuggiti. - Haragat si chinò sul cadavere del cavaliere, e cominciò a tagliare i lacci. - Non possiamo continuare così. Altri mostri vorranno assaltare il nido, e non riusciremo sempre a sorprenderli. -
- Lo so figlia mia, ma fino a quando non troveremo una soluzione, non possiamo fare molto. -
Haragat si voltò verso la madre. Una mano artigliata andò al proprio ventre, già gonfio da mesi, mentre altre lacrime rigavano il suo viso.